Rendimi simile a te,
annegami nel tuo tempo Signore,
che io sia vinto
da questa tua disarmante Bellezza nella morte. Là su quel confine
potremo vederti così come Tu Sei.
Ora nell’Ostia,
per un solo frammento di “tempo”
io vedo la tua Eternità
e ritrovo la vita.
Non è semplice pubblicare poesie se il tuo nome inizia con Arnoldo e finisce con Mondadori: per fortuna c’è quella Mosca che ronza tra i due estremi a simboleggiare l’emancipazione dal capostipite della più grande casa editrice italiana del Novecento.
Arnoldo Mosca Mondadori –nipote dello scrittore Giovanni Mosca e dell’editore Alberto Mondadori, pronipote di Arnoldo Mondadori – ha deciso coraggiosamente di emanciparsi dalla tradizione familiare passando dall’altra parte della barricata: non più editore ma autore.
Se poi pensiamo che il Nostro non si è dedicato ai romanzi di genere – come sarebbe facile pensare – ma alle poesie di ispirazione cristiana, capiamo bene come la scelta non sia delle più scontate e delle più remunerative (chi compra oggi libri di poesie? E chi, tra questi, compra libri di poesie religiose?).
Eppure Arnoldo, che pur avrebbe avuto i mezzi e le conoscenze per arrivare al grande pubblico, ha optato per la nicchia, in cui si sente a proprio agio, come uno stilita assiso a gambe incrociate sulla colonna di granito (ricordate il film Caro Diario, quando Nanni Moretti sulla sua irrinunciabile Vespa si ferma al semaforo rosso, scende dallo scooter e dice all’incolpevole uomo al suo fianco che attende il verde seduto in una Mercedes cabrio: «Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza»).
Quando un autore fa una scelta del genere non può che essere sincero, come sincera e autentica è la fede che traspare dalle preziosissime cinquantadue pagine di contemplazione mistica che vanno sotto il titolo Canto a Cristo.
Il volume, pubblicato nel 2018, è suddiviso in tre sezioni. La prima, denominata “Assenza”, affronta il tema del distacco di Dio o, meglio, di quando le nostre certezze vacillano e la nostra fede soccombe sotto la scure del dubbio: «Dov’è la fede Signore, se non in un canto disperato
che ti cerca come unica necessità? / Eppure tu taci e tutto si oscura. […] Ora capisco l’uomo che non crede, ne capisco la natura. / Anche se in questo Buio io cerco ancora e soltanto Te, mio Bene che sembri abbandonarmi, mio Unico a cui tendo» (p. 8).
Nella seconda parte, “Dopo l’eucaristia”, il poeta si sofferma sul momento più importante della Messa: la liturgia eucaristica.
Il professor Corrado Gnerre – nelle sue lezioni di Apologetica teologica – spiega come la Messa sia il più grande atto di culto in quanto riattualizzazione incruenta (non dolorosa) del sacrificio di Cristo sulla croce. L’azione costitutiva della Messa consiste proprio nella doppia consacrazione del pane e del vino: le altre parti sono integranti ma non essenziali – essenziale è la doppia consacrazione per rendere valida la Messa.
Il miracolo della consacrazione ci porta ai piedi della croce, di fianco a Maria: la Messa è lo stesso sacrificio della croce.
Lo scrittore scozzese Bruce Marshall (1899-1987) – nel suo romanzo Il miracolo di
Padre Malachia – scrive: «L’altare è il punto di incontro del cielo con la terra».
Quando assistiamo al sacrificio di Cristo siamo al centro della Storia e allo
stesso tempo ci affacciamo sull’infinito: «Come dire Signore / che un frammento
soltanto del tuo Viso / può guarire secoli di desolazione? / Come dirlo se non che esiste qualcosa / che non è né tempo né spazio, / qualcosa che irrompe ed è la tua Bellezza, / ed è il tuo viso. / Qualcosa che ci rapisce da ogni terra, / da ogni dolore, / da ogni lacrima umana / e ci porta là dove Tu Sei. […] Le Tue Altissime Lontananze / ora dominano il cuore: / sono il centro da cui si irradia / non solo il sangue / ma questo profumo che ci incendia di pace, / che ci tramortisce dopo la comunione» (p. 36).
Sì, perché la Messa è prima di tutto Bella, e noi abbiamo il dovere di curare sempre la Bellezza della Messa, perché la Messa è la massima glorificazione di Dio.
Citando di nuovo il professor Gnerre: «Nella Messa scompaiono le dimensioni dello spazio e del tempo: assistendo alla messa noi ci immergiamo nell’eternità e nell’infinito».
San Bernardo di Chiaravalle ripeteva spesso nelle sue omelie: «Si merita di più ascoltando devotamente una Santa Messa che col distribuire tutte le sostanze e col girare pellegrinando tutta la terra».
E ancora, Gesù rivelò a Santa Gertrude: «Sii certa che a chi partecipa devotamente alla Santa Messa io manderò, negli ultimi istanti della sua vita, tanti dei miei santi angeli per confortarlo e proteggerlo quante saranno state le messe da lui ben ascoltate».
L’ultima parte della raccolta – intitolata “Canto notturno” – è la più lirica. I versi si fanno brevi ed eufonici, come in un sussulto del cuore il cui battito è mosso da un soffio divino:
Ora mi stai portando dove Tu concepisci le albe prima che siano nel sole. Vi sono albe
che non nascono da stelle e sono quelle che tu ci doni quando salgono le tormente e noi soli,
senza nessuno, sappiamo di Te senza conoscerti
e abbiamo in noi
il Disegno dei Tuoi Deserti.
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