Sant’Ambrogio ha avuto un ruolo fondamentale nella riforma della liturgia: a lui si deve il “rito ambrosiano” che è seguito in tutta la diocesi di Milano. Aurelio Ambrogio – questo è il suo nome – è nato a Treviri (Germania) nel 339, è diventato vescovo di Milano nel 374 ed è morto a soli 57 anni nel 397. Dagli scritti di Sant’Ambrogio emerge la sua attenzione e sensibilità all’espressione musicale, come forma privilegiata per cogliere le armonie della natura, per manifestare i sentimenti dell’uomo e per entrare in contatto con Dio.
Nell’Exameron – opera che raccoglie le sue omelie pronunciate nella settimana santa del 387 – Ambrogio parla della “musica” del mare, simile al canto che si fa in chiesa; egli parla dei cieli che, con le loro più o meno rapide rivoluzioni, fanno una “musica” che noi non siamo più in grado di sentire perché vi siamo immersi da sempre, oppure perché (e questa seconda ipotesi è più accat- tivante) “gli uomini, presi dalla sua soavità e dolcezza, determinate da quel moto assai celere dei cieli, da oriente fino ad occidente, non abbandonassero le proprie attività ed opere e trascu- rassero qui ogni cosa a motivo di un certo qual trasporto dell’anima umana verso i suoni celesti”
(Exameron II, 2,7).
Sant’Ambrogio osserva la “musica” anche nel regno animale e affida un posto privilegiato agli uccelli. È significativo, per comprendere ciò che Ambrogio intenda per “musica”, che nell’elenco egli non solo inserisca quei volatili il cui verso è chiaramente melodioso, quali il cigno, la tortora, la colomba, l’usignolo e il merlo, ma anche quelli il cui richiamo è più dissonante e stridulo, come quello della cornacchia o della nottola.
In questa “musica” della natura e dell’universo si inserisce anche la “musica” dell’uomo e Sant’Ambrogio specifica che occorre distinguere tra le musi- che che sono in grado di elevare a Dio e alla “contemplazione dei fatti celesti”(Expositio in Lucam 4,2) e quelle profane, “i canti mortiferi dei mimi scenici, che suggestionano la mente alle mollezze amorose” (Exameron III,1,5).
Sant’Ambrogio definisce la funzione fondamentale della “musica” che è quella di avvicinare l’uomo a Dio, di stabilire un colloquio con Dio, “una conversazione celeste”. È proprio in questa dimensione di elevazione dell’anima a Dio che trova la sua ragione l’introduzione ad opera di Sant’Ambrogio del canto liturgico nella città di Milano (Settimana Santa del 368; cfr Agostino, Conf IX, 7,15).
Ambrogio fornisce riferimenti pratici su come deve essere eseguito il canto: il tono della voce deve essere moderato, perché se “troppo elevato non offenda l’orecchio di qualcuno”, deve essere ispirato alla “compostezza” e l’apprendimento deve avvenire “per gradi” (De officiis ministrorum 1,67). La voce deve essere “semplice e pura; il fatto che sia sonora è della natura non dell’arte”, le parole devono essere scandite bene, di modo che la pronuncia “sia realmente distinta”. Tutto deve servire a rivelare “il mistico” (De officiis ministrorum 1,104), ovvero essere in grado di mettere in contatto l’uomo con il divino.
Riassumendo: la musica viene da Dio e ci riporta a Lui. Essa è naturalmente sacra nella misura in cui rivela e fissa una relazione con il trascendente.
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