Nuovi inizi o ripartenze? La differenza è sottile ma, di fatto, ci spinge a interrogarci sul nostro modo di affrontare l’avvio dell’anno pastorale al rientro da periodo più o meno prolungato di ferie. Qual è dunque la nostra disposizione d’animo in questo settembre? Siamo decisi a dare una svolta, a inaugurare possibilità inedite, a godere di un certo slancio ed entusiasmo o siamo piuttosto portati a replicare cose già vissute, modalità e schemi ormai consolidati e più sicuri? Su tutto, lo sappiamo bene, sentiamo gravare una certa stanchezza, un’incertezza, un senso di esitazione dovuto alla situazione che ci circonda e che quindi, anche laddove potremmo augurarci una ventata di novità, ci costringe ad una certa prudenza. Ma allora come non perdere la speranza in quest’orizzonte così indefinito, che oscilla tra luci ed ombre?
Il nostro arcivescovo Mario ci offre una possibile risposta attraverso l’ultima lettera pastorale “Kyrie, Alleluia, Amen”. Si tratta della preghiera. Così scrive Delpini: «Propongo quindi di vivere nel prossimo anno pastorale, ma con lo scopo che diventi pratica costante, una particolare attenzione alla preghiera. Abbiamo bisogno di riflettere sulla preghiera per comprendere il significato, l’importanza, la pratica cristiana, in obbedienza a Gesù nostro Signore, modello e maestro di preghiera. Non intendo proporre una enciclopedia della preghiera, ma incoraggiare a verificare il modo di pregare delle nostre comunità.». Sottolineando poi a più riprese il bisogno che abbiamo di pregare, mediante l’esplicitazione di varie ragioni, l’arcivescovo Mario giunge ad una conclusione: «Non riesco a non pensare che la tristezza, il grigiore, il malcontento possano avere una radice anche nel fatto che preghiamo troppo poco e in modo troppo diverso da come prega Gesù, sempre vivo per intercedere a nostro favore (cfr. Eb 7,25).».
Allora se solo la preghiera può essere considerata antidoto efficace contro un naufragare generale del vivere la quotidianità, tanto vale che anche noi, in questo povero spazio, proviamo insieme a cercare occasioni, intuizioni, piste di riflessione che possano aiutarci a compiere qualche passo nella profondità della relazione personale con Dio. Non è mio desiderio offrire un compendio di tecniche o di definizioni teologiche circa questo complesso discorso, né tanto meno indagare in modo puntuale le caratteristiche di ciò che è preghiera e di ciò che invece non lo è. Semplicemente, come già fatto in passato, cercherò di rileggere con voi alcuni passaggi della vita e degli scritti di san Francesco al fine di far emergere luci capaci di risvegliare in noi un certo ardore per la preghiera. Intendo poi nuovamente appellarmi all’esperienza del santo di Assisi sia per portare a conoscenza sue pagine magari poco conosciute, sia perché di lui le biografie ci raccontano che egli «non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.». Non so se noi mai raggiungeremo un tale traguardo, ma indubbiamente possiamo lasciarci affascinare dl Poverello proprio per la sua capacità di fare della preghiera un incontro d’amore tra sé, con tutto ciò che di gioie e di sofferenze ha nel cuore, e Dio, che tutto e in ogni circostanza gli si mostra. Francesco riceve la grazia, fin dai primi tempi della sua conversione, di incontrare il Signore e di sperimentarlo presente proprio nell’intimo della sua vita: «D’improvviso il Signore lo visitò e n’ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità. E da quell’ora smise di adorare se stesso e persero via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del cuore; e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla evangelica che intendeva acquistare a prezzo di ogni suo avere, spesso e quasi ogni giorno s’immergeva segretamente nell’orazione. Vi si sentiva attirato dall’irrompere di quella misteriosa dolcezza che penetrandogli sovente nell’anima, lo sospingeva alla preghiera perfino quando stava in piazza o in altri luoghi pubblici.»
Se queste sono appena le prime finestre che si aprono sul tema della preghiera, mediante la vita del santo di Assisi, riusciamo già a cogliere almeno qualche considerazione. La prima è che della preghiera non se ne può parlare se non nei termini di relazione tra due persone, rapporto all’interno del quale è Dio a prendere l’iniziativa. All’uomo spetta di essere disponibile all’incontro, di custodire quel dialogo e di nutrire continuamente occasioni in cui lo Spirito del Signore possa esprimersi. La preghiera dunque è un po’ anche un itinerario, che ci chiede di saper scendere, a poco a poco, in profondità per godere del rapporto con il Signore e quindi per convertire tutta la nostra esistenza a partire proprio da quel nucleo incandescente che sappiamo essersi acceso in noi. Infine la preghiera è l’atteggiamento di colui che si fa discepolo di Gesù, che riconosce in Lui l’unico capace veramente di attrarci e di conquistarci, lì dove siamo, ai margini magari della nostra stessa vita, nei problemi e nelle fatiche, come pure nelle gioie, che oggi attraversiamo. Questo fu il vissuto di Francesco, nel quale forse anche noi possiamo riconoscere il nostro… o almeno qualche sfumatura che ci aiuti a guardare alla preghiera con quel fascino che fu suo!
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