“Il suo nome era Cerutti Gino
ma lo chiamavan Drago
gli amici al bar del Giambellino
dicevan che era un mago”
Il ritornello di una famosa canzone di Giorgio Gaber del 1964 ci invita a scoprire un altro spicchio di Milano, ricco di storia, tradizione e curiosità…il Giambellino.
Il quarter Giambellin, in milanese, nacque nel 1925, attorno alle cascine: prima era un’area solo con fabbriche, poi si costruirono le case di ringhiera, ma la crescita consistente avvenne nell’ultimo dopoguerra. Una storia sfaccettata, quella del Giambellino, scritta dagli emigranti italiani di ritorno dalla Francia, ma anche percorsa dai moti della Resistenza; fino alla ligera, la piccola malavita di una volta. Qui, tra gli anni 60 e 70, hanno abitato anche Richi Maiocchi dei Camaleonti, Lucio Battisti, Diego Abatantuono. Nel quartiere è presente la più piccola chiesa di Milano collocata nello spartitraffico di una delle arterie più trafficate, via Lorenteggio. All’altezza del numero 31 infatti sorge l’Oratorio di San Protaso, conosciuto anche come la “Gesetta di lusert”, la costruzione più antica della zona e una delle due chiese meneghine senza campane.
Non si riesce a risalire alla data di costruzione ufficiale, ma l’Oratorio sicuramente fu voluto dai Monaci Benedettini di San Vittore che lo dedicarono a San Protaso, vescovo di Milano (328-344). Sorgeva tra campi e marcite, in quello che era all’epoca il “Comune dei Corpi Santi” (Corp Sant in dialetto), uno spicchio di territorio fuori le mura che giungeva fino al confine con il Comune di Lorenteggio.
La chiesetta ha una struttura tipicamente medievale in stile romanico-lombardo col tetto a capanna e un soffitto a cassettoni. La porta d’ingresso è ad architrave e le piccole finestrelle sono poste sui lati. L’interno è semplice con pareti imbiancate e affreschi di diverse epoche, tra cui uno della Madonna del Divino Aiuto che, secondo la tradizione, sarebbe riapparso ben tre volte dopo essere stato ricoperto da intonaco. Interessante anche un altro bell’affresco del 1428, che raffigura Santa Caterina da Siena. Utilizzata per il culto fino al 1950 venne dismessa e lasciata al più completo abbandono e abitata solo dalle lucertole, da qui il soprannome di “Gesetta di lusert”.
Diversi personaggi storici sono legati a questa chiesina: Barbarossa la risparmiò dalla demolizione, Napoleone la usò come deposito delle armi, Federico Confalonieri ne fece un covo dei Carbonari. Per secoli ha custodito una leggenda: pare che al suo interno si trovasse una botola che conduceva a un cunicolo segreto collegato al Castello Sforzesco, un percorso di fuga perfetto in caso di assedi e guerre.
E’ da sempre un punto di riferimento per i fedeli del quartiere e non solo, così come ricorda la strofa di una famosa canzone di Piero Mazzarella: “Nott e dì gh’è semper ‘vert a la Gesa di lusert, lì ghe prega la povera gent, senza cà, senza nient”.
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