«L’amicizia è un regalo della vita e un dono di Dio. Attraverso gli amici, il Signore ci purifica e ci fa maturare. Allo stesso tempo, gli amici fedeli, che sono al nostro fianco nei momenti difficili, sono un riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua presenza amorevole.»
(Christus vivit, 151)
Desidero riprendere da qui, dalle parole di Papa Francesco, il nostro percorso sulla fraternità, attraversando ancora un poco il terreno dell’amicizia. Anzi, oserei dire percorrendone il sentiero con il panorama più bello e ampio. Forse vi sarete accorti della mancanza di un nome “famoso” nella lista dei primi frati che vi presentavo lo scorso mese: quello di frate Leone. Non è stata dimenticanza, quanto piuttosto il desiderio di potergli rendere maggiore attenzione in uno spazio adatto.
Quella tra san Francesco e frate Leone (che approda all’esperienze dei frati solo alla “seconda ora”, dopo cioè il 1209, anno della conferma dello stile francescano da parte del papa Innocenzo III) è senza dubbio una relazione d’amicizia tra le più importanti per entrambi questi uomini. Quello che l’immaginario tradizionale mette sempre vicino a Francesco, compagno dei suoi momenti più delicati e suo “segretario” e confessore, è in realtà un frate sacerdote che diventa per noi testimone di un volto particolare e intimo del Poverello. È proprio grazie a frate Leone infatti se noi possiamo venerare come reliquie due piccoli pezzi di pergamena (cuciti assieme non farebbero un piccolo fazzoletto) vergati, a loro tempo, dalla mano dello stesso Francesco. Probabilmente non furono gli unici che il santo scrisse di persona, ma di fatto solamente questi sono stati conservati fino ad oggi e tramandati a noi (oltre agli altri numerosi documenti dei quali il Poverello fu sì autore, ma dettandone il contenuto a Leone o altri scrittori). I due biglietti di cui parlo sono la Lettera di Francesco a Leone (custodita nel Duomo di Spoleto) e la cosiddetta Chartula, che reca scritta sul fronte la preghiera delle Lodi al Dio Altissimo e sul retro la famosa Benedizione a frate Leone (custodita ad Assisi, nella Basilica di S. Francesco). C’è dunque un nesso necessario tra gli autografi di Francesco e l’amicizia con Leone. In altre parole essi attestano la verità fondamentale che Leone era caro a Francesco, tanto da indurre il santo di Assisi a prendersi cura dell’amico mettendo in atto elementi testuali e grafici capaci di toccare la sensibilità di Leone.
Riportiamo il testo della Lettera: «Frate Leone, il tuo fratello Francesco, ti augura salute e pace. Voglio riassumere in una parola, figlio mio, con l’amore di una madre, tutto quello che abbiamo detto durante il nostro viaggio, in modo che tu non sia obbligato a venire fin qui per chiedere consiglio. Così ti dico: qualunque cosa ti sembri giusto fare per piacere al Signore, per seguire i suoi passi e la sua povertà, ebbene: fatelo tu e quelli che sono con te, con la benedizione di Dio e con la certezza di obbedire a me. Ma, se credi utile per il bene della tua anima e per tuo conforto, e se vuoi, Leone, venire da me, vieni.»
Risulta evidente e direi commuovente l’autodefinizione che Francesco dà di sé nei confronti di Leone: l’essergli come madre. Si rivela un Francesco senza se e senza ma nella benevolenza verso l’altro, facendo al tempo stesso emergere poi un tratto di straordinaria libertà interiore ed esteriore. Il rapporto dialettico che lega questi due fratelli è dunque quello materno, atto a promuovere la vita, a farla crescere dando autonomia – ponendo una necessaria distanza tra loro – e garantendo comunque una vicinanza che non verrà meno! In modo simile Francesco, regalando la preghiera nata dall’incontro con il Serafino che aveva impresso le stimmate nel suo corpo e arricchendo con disegni la benedizione, anche nel secondo biglietto nasconde l’intento di consegnare a Leone un dono vero e proprio, che fosse capace di consolare tristezze e difficoltà.
E noi, cosa possiamo ricavarne? Direi così: lo stile della maternità. La maternità nella fraternità si esercita nel compiere gesti-azioni-parole che suscitino possibilità di creatività nell’altro. L’esempio che diamo e riceviamo diviene punto di partenza per una personale rielaborazione di quello che è bello, splendente, di quello che vale. “Faccio-agisco-dico” per farti strada, per darti l’input, per aprirti un cammino. Per aprirti non per rinchiuderti, non per tenerti chiuso, neppure per trattenerti nei miei schemi. E in questo senso faccio, dico… ciò che vale la pena. Ciò che non sopporta mediocrità e bruttezza. E guardare a ciò mentre festeggiamo il Natale è riconoscere che lo “stile” di relazione che viviamo con l’altro è lo stesso, in fondo, che viviamo con l’Altro. Nuovamente Francesco infatti dice: «Siamo madri [del Signore], quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri.» Ecco allora, che possa essere un Natale benedetto, in cui sentirci madri di Gesù e madri dei fratelli… magari addirittura coraggiosi di offrire ad un amico, insieme ai soliti doni, una lettera, una preghiera o una benedizione!
Buon Santo Natale a voi!
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