Per ricordare l’arcivescovo di Milano scomparso nel 2012, vi proponiamo nel decennale della morte alcuni estratti di un articolo pubblicato su Vatican News che contiene anche un’intervista a don Virginio Colmegna.
“Ho cercato sinceramente di ascoltare la storia, gli eventi, le persone, tutti voi che incrociavo nel mio cammino: ho desiderato incontrare almeno idealmente tutti, ma soprattutto gli ultimi …”. Nelle parole con le quali l’arcivescovo Carlo Maria Martini si congedava dai milanesi, l’8 settembre 2002, c’era soprattutto il pastore che ha sempre cercato il dialogo. Con i fedeli della più grande diocesi del mondo, guidata per 22 anni, ma anche con i tantissimi che vedevano in lui il primo riferimento morale della città. Un “padre-pastore”, attento alle vite che gli erano state affidate, ma nato come uomo di cultura, gesuita e brillante studioso di Sacra Scrittura, rettore del Pontificio Istituto Biblico prima e dell’Università Gregoriana poi.
Don Colmegna: un maestro e un amico che mi ha insegnato tanto.
Maestro e amico. Così ricorda oggi Martini, a dieci anni dalla morte, e a 20 da quel commovente congedo nel Duomo di Milano, don Virginio Colmegna, 77enne “prete di comunità” milanese, che il nuovo arcivescovo nato a Torino ma arrivato da Roma, nel 1980 mandò subito in periferia, a Sesto San Giovanni, come parroco e “anima” della comunità per disabili “Parpagliona”. E che nel 1993 chiamò a dirigere la Caritas Ambrosiana, lasciata nel 2004 per fondare la Casa della Carità, il lascito dell’arcivescovo-gesuita a Milano. Don Colmegna considera il cardinale Martini “un maestro e un amico” che ci dice, nella lunga intervista che ha concesso a Vatican News, “ha educato la mia coscienza, come tante coscienze di credenti”.
L’arrivo a Milano nel 1980 e l’invito in arcivescovado.
Don Colmegna ricorda che negli anni “di piombo” del terrorismo e di grandi tensioni sociali, lui giovane “prete-operaio” viene invitato dal nuovo arcivescovo “a vivere con lui tre giorni”, in condivisione e preghiera, prima di essere inviato in periferia e tra i disabili. Così “ho scoperto che anche le scelte di solidarietà – ci dice – nascono dall’ascolto dello Spirito che illumina”. Martini lo spiega a tutta la diocesi nella prima lettera pastorale, dedicata alla dimensione contemplativa della vita.
Dalla Scuola della Parola alla Cattedra dei non credenti.
Nel suo racconto appassionato e commosso, don Virginio rievoca le molte iniziative innovative dell’arcivescovo, a partire dalla Scuola della Parola, per aiutare i fedeli ad accostarsi alla Sacra Scrittura, attraverso la lectio divina. Poi le Scuole di formazione all’impegno sociale e politico e, dal 1987, la serie di incontri a due voci sulle “domande della fede”, che chiama Cattedra dei non credenti. Infine la grande Assemblea di Sichem, per invitare i giovani alla missione nella città. Con uno stile diverso da Papa Francesco, il confratello gesuita Martini esprimeva vicinanza concreta a fedeli e sacerdoti, sottolinea don Colmegna. “Veniva la sera, a sorpresa, nella nostra comunità per disabili, e si fermava a parlare con loro, dando credibilità al Vangelo”. Oppure telefonava più volte per informarsi del sacerdote, forse in crisi vocazionale, “che aveva mandato a lavorare con me”.
L’ultimo Martini, la sofferenza fisica e per la Chiesa.
Dell’ultimo Martini, infine, quello della nuova ricerca biblica e la preghiera di intercessione della pace a Gerusalemme, e della sofferenza fisica e per le difficoltà della Chiesa a Gallarate, il presidente della Casa della Carità rammenta l’ultimo colloquio con Benedetto XVI, nel giugno 2012. “Il suo assistente don Damiano ricorda che le sue parole erano diventate poco comprensibili – ci dice don Virginio – eppure volle consegnare al Papa il suo amore per una Chiesa che aveva bisogno del cambiamento, e la sofferenza interiore che viveva. E credo che Papa Francesco ha accolto questo segno e ha dato continuità a questo suo desiderio”.
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