Luigi Pirandello (1867-1936), premio Nobel nel 1934, è il fiore all’occhiello della nostra produzione letteraria, riconosciuto e studiato in tutto il mondo come il maggior rappresentante del relativismo psicologico nella narrativa e come il creatore del teatro nel teatro.
Diciamolo subito: Pirandello non è mai stato cattolico in senso stretto, ha anzi spesso condannato il “paganesimo” dei riti e delle liturgie di Santa Romana Chiesa. Era molto più attratto dalla Teosofia e dalle religioni orientali. Ma, come scrisse egli stesso a don Giuseppe De Luca nel 1935, possedeva una fede solida: «Io ho una fede in Dio, non so se vera per Lei, prete, ma fermissima, alla quale ho dovuto ubbidire, offrire dolorose rinunzie».
Le opere del drammaturgo siciliano, tuttavia, portano alla luce «un intero sistema di citazioni evangeliche», come mette in evidenza il critico Davide Savio: «Diverso è tuttavia il discorso che riguarda il suo rapporto con il testo biblico, specialmente quello evangelico, vissuto all’insegna di una fedeltà mai messa in discussione, venuta a galla infine con opere come Lazzaro e il progettato romanzo Adamo ed Eva. La cosa non deve stupire, perché il rifiuto della fede, maturato da Pirandello fin dagli anni dell’infanzia, fu un rigetto delle sovrastrutture rituali, sociali e formali con cui la religione si era data un’organizzazione negli affari del mondo. A tale rifiuto, accompagnato da un atteggiamento conoscitivo forgiato sul dubbio metodico, ha sempre fatto da contraltare una forte spinta verso lo spirito, che prende le movenze di una religiosità panica, disincarnata, cominciata con il recupero del dualismo tra corpo e anima».
Il fu Mattia Pascal, romanzo pubblicato nel 1904, «narra la storia di un timido provinciale, Mattia Pascal, che si allontana di casa dopo una delle solite liti con la moglie Romilda e la suocera Marianna Pescatori e, arrivato a Montecarlo, vince, giocando a caso, diverse decine di migliaia di lire. Il possesso di questa grossa somma e la lettura di una notizia di cronaca che annunzia la sua morte (si tratta dell’erronea identificazione del cadavere di un disperato che s’è ucciso buttandosi nel pozzo di Mattia) lo spingono a simulare davvero la morte, e a tentare di cominciare una nuova vita» (Mario Alicata). Mi fermo qui, non voglio togliere la sorpresa a quei pochi fortunati che ancora non hanno letto l’opera.
Accusato di aver scritto una storia inverosimile, Pirandello rispose a più riprese ai critici, fino al tanto agognato pieno riscatto: «Ma una consolazione più grande m’è venuta dalla vita, o dalla cronaca quotidiana, a distanza di circa vent’anni dalla prima pubblicazione di questo mio romanzo Il fu Mattia Pascal. Neppure ad esso mancò chi lo tacciasse d’inverosimiglianza. Ebbene, la vita ha voluto darmi la prova della verità di esso in una misura veramente eccezionale, fin nella minuzia di certi caratteristici particolari spontaneamente trovati dalla mia fantasia». A questo punto l’autore riporta per intero un articolo di cronaca apparso sulle colonne del Corriere della Sera del 27 marzo 1920, in cui si narra la vicenda dell’elettricista Ambrogio Casati, il quale ha ripercorso fedelmente le avventure del protagonista del romanzo di Pirandello.
Il Cardinale Carlo Maria Martini, partendo proprio da questa riflessione sul rapporto tra realtà e fantasia, elabora una riflessione sui testi sacri: «Numerose sono le lettere che riguardano questo o quel passo biblico di difficile interpretazione. Da non poche di queste domande appare ancora diffusa la concezione di una Bibbia scritta sotto dettatura divina e assolutamente priva di errori. Va notato anzitutto chei cristiani leggono le Scritture come un libro unico, che è stato consegnato alla Chiesa perché lo interpreti con sicurezza, a partire dal suo centro che è Gesù morto in croce e risorto. Inoltre la Bibbia non è solo insegnamento dottrinale, ma in gran parte racconto, interpellazione, consolazione, parabola, esortazione, preghiera, rimprovero ecc… In tutto questo noi veniamo guidati a camminare sulla strada giusta, senza timore di sbagliare. Nell’insieme la tradizione biblica, quando è ben interpretata, si rivela solida e aderente alla vita, anche se non mancano errori storici, sociologici, geografici ecc. Luigi Pirandello, a coloro che gli rimproveravano di rappresentare situazioni lontane dalla vita reale, citava un articolo nel Corriere della Sera del 27 marzo 1920, che raccontava fatti molto simili a quelli da lui descritti ne Il fu Mattia Pascal . Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe eccetera, al di là di quanto se ne può sapere dalla storia, sono “veri” perché “vera” è la loro esperienza, che continuamente si “invera” nella vita dei credenti. Più delicati sono quei passi dove, a proposito per esempio della guerra, o a riguardo della vita dopo la morte, si esprime una dottrina che ai nostri occhi risuona mancante. Essi vanno letti come una tappa del cammino verso la pienezza della luce. Il Concilio Vaticano II dice che i “Libri della Scrittura insegnano fedelmente e senza errore la verità che Dio per la salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere” (Cfr. Dei Verbum n.11)».
Infine, una piccola riflessione sul famoso relativismo pirandelliano: nel capitolo XIII il romanzo ribadisce, per bocca di Anselmo Paleari, «il carattere illusorio di qualunque certezza, anche di quelle date dalla religione e dalla scienza». «Secondo Pirandello l’idea del mondo varia non solo da individuo a individuo, ma, nella stessa persona, a seconda del momento e dello stato d’animo. Poiché, però, l’uomo ha bisogno di verità assolute, egli vuole credere che i propri valori siano certi e che la realtà sia oggettiva: invece sia quelli che questa non sono che proiezioni soggettive. Solo per autoinganno, l’uomo può ritenere che la luce del “lanternino” della propria coscienza sia la luce stessa delle cose» (Barbara Leone).
Papa Francesco sembra aver voluto rispondere a Pirandello quando, nel marzo 2017, durante la consueta meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, pronunciò queste parole: «La bussola del cristiano è seguire Cristo crocifisso: non un falso Dio disincarnato e astratto, ma Dio che si è fatto carne e che porta su di sé le piaghe dei nostri fratelli. Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Noi uomini siamo davanti a questa realtà: o è il bene, o è il male (…). Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarsi davanti ad altri dèi andrai sulla strada del male. E questo noi lo percepiamo nella nostra vita: sempre possiamo prendere o il bene o il male, c’è la realtà umana della libertà. Dio ci ha fatti liberi, la scelta è nostra. Ma il Signore non ci lascia soli, ci insegna, ci ammonisce: stai attento, c’è il bene e il male; adorare Dio, compiere i comandamenti è la strada del bene; andare dall’altra parte, la strada degli idoli, dei falsi dèi – tanti falsi dèi – che fanno sbagliare la vita. E questa è una realtà: la realtà dell’uomo è che tutti noi siamo davanti al bene e al male. Poi c’è un’altra realtà, la seconda realtà forte: la realtà di Dio. Sì, c’è Dio, ma come c’è, Dio? Dio si è fatto Cristo: questa è la realtà e per i discepoli era difficile capire questo».
Se era difficile per i discepoli, figuriamoci per noi.
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